«E ora che succede, mi arrestano?». I terrori forse un po’ ingenui ma sicuramente sinceri di Nicolò Zaniolo si sono palesati nel momento in cui ha saputo che l’amico Sandro Tonali è rimasto chiuso per tre ore e mezza nelle segrete stanze del palazzo di giustizia di Torino, per un interrogatorio-fiume che in un senso o nell’altro segnerà un punto di svolta nell’indagine sul caso scommesse condotta dalla pm Manuela Pedrotta. «Nicolò, ma tu che hai fatto?» gli hanno chiesto per l’ennesima volta – la prima fu giovedì scorso, dopo il blitz della polizia a Coverciano – papà Igor, mamma Francesca, il suo agente Vigorelli e gli avvocati Tognozzi (penalista) e Conte (sportivo). La risposta del ragazzo, con il cuore in mano, è stata la stessa: «Ho giocato a poker e blackjack, mai sul calcio». Lo ha fatto sulle piattaforme illegali, e questo gli è costato un avviso di garanzia da parte della procura di Torino per violazione dell’articolo 4 della legge 401 del 1989. Per la giustizia ordinaria si tratta di un reato minore, che prevede una sanzione di una semplice ammenda alternativa all’arresto, oltretutto “oblabile” e quindi pagando una somma corrispondente alla metà di quanto stabilito dalla legge. L’argomento delle sue puntate non è un tema che affascina i pm di Torino, se non per i risvolti legati a possibili coinvolgimenti extra-calcistici, ma per la giustizia sportiva fa tutta la differenza del mondo sapere se sul pallone Nicolò abbia davvero scommesso.
