Bove: concluso a Firenze l’intervento del defibrillatore

Già questa mattina alle 7.30 Edoardo Bove è entrato in una delle sale di emodinamica di Careggi per l’impianto di un defibrillatore sottocutaneo. L’intervento è stato fatto dall’aritmologia dell’ospedale fiorentino, che ogni anno mette centinaia di dispositivi di quel tipo a pazienti con problemi cardiaci. Il calciatore della Fiorentina si trova di nuovo in reparto.

Bove, 22 anni, domenica 1 dicembre era stato colpito da un malore al 17’ minuto di Fiorentina-Inter. Mentre si trovava in ambulanza, diretto a Careggi, ha avuto un arresto cardiaco, risolto dal defibrillatore semiautomatico. È arrivato in ospedale cosciente, respirava autonomamente, ma è stato tenuto un paio di giorni in terapia intensiva. Il martedì è stato trasferito in cardiologia, all’Utic, unità di terapia intensiva cardiologica (di fatto è rimasto nello stesso letto, dove è cambiata il tipo di assistenza, cioè sono stati scollegati i macchinari di supporto alle funzioni vitali).

Già nei primi giorni è stato prospettata al giocatore, da parte dei medici della cardiologia e della terapia intensiva, l’ipotesi di utilizzare un defibrillatore sottocutaneo, una piccola scatola del tutto simile a un pace maker (ha funzioni un po’ diverse). Nei casi come il suo, cioè quando c’è stato un arresto per fibrillazione risolto con il defibrillatore, tutte le linee guida internazionali suggeriscono l’utilizzo di un dispositivo sottocutaneo. Ci sono rischi che il problema che ha provocato il primo arresto si ripresenti e per questo è meglio avere il defibrillatore. La questione è delicata perché chi ha un dispositivo come quello poi installato a Bove in Italia non può più giocare a calcio, fare sport a livello agonistico. Per questo si è dato tempo al giocatore e alla sua famiglia di decidere con calma, mentre venivano fatti gli esami. I medici raccontano che il giovane centrocampista della Fiorentina ha subito compreso la situazione, si è perfettamente reso conto di quello che ha rischiato e ha dato il suo consenso a fare l’intervento.

Fonte: repubblica

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