Dopo aver esonerato Sinisa Mihajlovic, la prima telefonata i dirigenti del Bologna l’hanno fatta a Roberto De Zerbi. Intendevano affidare a lui il progetto di rilancio. De Zerbi ha ascoltato la proposta, ma ha declinato l’offerta.
Non per amicizia verso Mihajlovic, che nemmeno conosce personalmente, ma perché non si sarebbe sentito a suo agio nel prendere il posto di una persona che sta vivendo un difficile momento a livello di salute. I dirigenti emiliani hanno insistito, però smuovere De Zerbi dalla sua decisione è stato impossibile.
Se Mihajlovic si fosse dimesso, e dunque fosse stata sua la scelta di farsi da parte, il discorso sarebbe stato diverso: De Zerbi avrebbe accettato con entusiasmo. Così, invece, no. Ed è su questo “no” che si deve riflettere per capire il personaggio. De Zerbi è un grande allenatore, che probabilmente diventerà grandissimo quando le sue squadre riusciranno a trovare l’equilibrio tra la fase offensiva e la fase difensiva (quisquilie tattiche che adesso poco contano), ma soprattutto è un uomo che non accetta i compromessi e le situazioni a metà. Allenare il Bologna gli sarebbe piaciuto, l’esperienza lo intrigava, sarebbe un modo per rientrare nel calcio italiano dopo l’avventura, per certi versi drammatica, con lo Shakhtar Donetsk, in Ucraina. Il suo no, tuttavia, testimonia che al primo posto nella sua lista delle preferenze c’è la coerenza. Non sarebbe stato bene lui, in quella situazione, e così ha declinato l’invito.
Ciò significa che ha saputo mettere se stesso e il suo equilibrio interiore davanti all’ambizione e all’ipotesi di gloria. Non sempre accade. Quante volte, attratti da una lusinga o dalla vanità, ci facciamo tirare per la giacca e non seguiamo il nostro istinto che, magari, ci dice di fermarci prima che sia troppo tardi? De Zerbi, in questa circostanza, ha avuto la freddezza di valutare la situazione come se ne fosse uno spettatore e non un protagonista: ha pesato i pro e i contro, ha ascoltato che cosa gli suggeriva il corpo, non soltanto la mente ma proprio le viscere, e ha espresso la sua opinione. Non è semplice prendere il posto di un allenatore che viene esonerato, non lo è mai. Se poi questo allenatore è in una delicata situazione personale, i dubbi raddoppiano. Anzi: si moltiplicano per mille. E come si può allenare una squadra, e dunque darle ordine, regole e serenità, se prima di tutto manca a noi la serenità? Se avesse accettato, De Zerbi, per il suo carattere, per la sua sensibilità, per come è fatto, non sarebbe stato tranquillo, si sarebbe sentito un usurpatore, ruolo tutt’altro che augurabile. Il discorso non vale per tutti, ci mancherebbe altro: ognuno è fatto della propria pasta e non ce n’è una migliore di un’altra. Semplicemente questa “pasta” determina i nostri comportamenti così come ha determinato quello di De Zerbi che, dopo aver vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra in Ucraina, dopo aver ascoltato le voci del dolore e dopo aver visto con i propri occhi l’orrore, non se l’è sentita di affrontare un’altra esperienza al limite. Anche per rispetto di Mihajlovic, nonostante non lo conosca personalmente, ma soprattutto per rispetto di se stesso e dei suoi principi.