«Se volevo potevo far perdere le mie tracce quando stavo girando le puntate di Pechino Express». È Massimo Ferrero, detenuto dall’altra notte nel carcere di San Vittore a Milano, a parlare a poche ore dal suo arresto per bancarotta per il fallimento di quattro società in Calabria e per la distrazione di milioni di euro. «Non mi hanno mandato agli arresti domiciliari perché ritenevano che non era una misura adeguata. Ma se ho la Digos che mi segue da tempo e mi mettevano il braccialetto elettronico agli arresti domiciliari come potevo scappare?». L’ex presidente della Sampdoria anche da una cella del penitenziario milanese continua a lottare, a sostenere che se avesse voluto sarebbe potuto fuggire dalle indagini delle forze dell’ordine che da anni stanno indagando sullo stato delle società a lui riconducibili. Ferrero è considerato dalla procura di Paola e dagli investigatori della Guardia di Finanza il dominus di una serie di reati societari che avrebbero portato al fallimento di aziende del settore cinematografico, turistico e alberghiero.
