Pioverà, lassù ai 1171 metri del Mikuni Pass, la salita che deciderà la corsa. E allora, nell’umidità da bagno turco della prefettura di Shizuoka, ai piedi del monte Fuji, l’oro del ciclismo su strada finirà al collo dell’uomo meno disidratato, il Belgio dei fenomeni (Van Aert e Evenepoel) sfida la Slovenia dei prodigi (Pogacar e Roglic) ma l’Italia a cinque punte non resterà a guardare: c’è il vecchio Nibali, a cui il Tour ha fatto l’effetto del gerovital, c’è Caruso sdoganato nel ruolo di campione dal Giro, c’è Ciccone che sui 4865 metri di dislivello di un lunghissimo tappone giapponese di 234 km si esalta, ci sono Bettiol e Moscon, i giovani più talentuosi del ciclismo azzurro. «Ciascuno con la sua funzione, la sua esperienza, il suo apporto: non siamo i favoriti però sopperiremo con il gioco di squadra» promette il c.t. Davide Cassani, il freddo stratega che ha ceduto alle lusinghe della scaramanzia: in valigia ha infilato il tricolore sventolato da Elia Viviani a Rio 2016 per festeggiare l’oro nell’Omnium, proprio quello, dedicato e autografato dal dio di Olimpia. «Lo terrò sull’ammiraglia, pronto da accarezzare se ci servirà energia positiva». Tutto, anche l’imponderabile magia di una bandiera che ha già vinto i Giochi, per rivivere le emozioni di Paolo Bettini re di Atene 2004, diciassette anni e una pandemia fa.
